Crittografare? Sì grazie, soprattutto se si gestisce o si lavora in un’azienda. Il rischio di vedersi intercettate importanti informazioni, in un’epoca dove la comunicazione digitale coinvolge gran parte delle attività commerciali, è una pericolo da non sottovalutare.
A prova di Quanto – Il pericolo è serio, e ciò ha spinto anche i colossi della messaggistica come WhatsApp e Telegram a proteggersi. La nuova frontiera del settore è sicuramente la crittografia quantistica, incentrata attorno agli standard Quantum-proof. La sperimentazione, al riguardo, è già molto avanzata e si basa sui cosiddetti qubit, la nuova unità di misura coniata dall’informatica quantistica, che ha un innegabile vantaggio rispetto alle tradizionali chiavi simmetriche o asimmetriche: la sua potenza di calcolo, che è incentrata attorno all’impossibilità di prevedere i comportamenti dei qubit stessi.
Infatti certi fenomeni fisici sono del tutto imprevedibili ma, grazie alla tecnologia derivata dalla quantistica, permettono di ottenere livelli di estrema sicurezza durante la generazione casuale dei numeri. Da qualche anno ormai, i “random number generators” vengono usati da aziende di diversi settori per garantire un’esperienza di gioco online totalmente realistica, proprio come avviene ai tavoli verdi dentro un vero casinò.
Per impedire, o quanto meno per rendere altamente improbabile, che un messaggio venga intercettato da terzi non autorizzati, i ricercatori sono partiti dal cosiddetto “principio d’indeterminazione”, messo nero su bianco quasi un secolo fa (l’enunciazione formale risale infatti al 1927) da Werner Heisenberg. Secondo il fisico tedesco, infatti, la velocità e la posizione di una particella non possano essere misurate con esattezza in maniera simultanea. Tradotto in termini crittografici: questo principio teorico, inizialmente collegato al moto e alla posizione nello spazio di un elettrone, tende a far coincidere le varie chiavi di autenticazione (per intenderci, le password e i PIN oggi utilizzati dalla finanza all’informatica) con gli stati quantistici della luce, per definizione non calcolabili con precisione assoluta, rilevando un’eventuale intrusione.
La dorsale quantica – L’Italia, per una volta, è davvero in prima fila. Infatti a fine 2019 il nostro Paese, grazie al lavoro dell’Istituto nazionale di ottica del CNR e del Laboratorio europeo di spettroscopia non lineare di Firenze, ha effettuato il primo test ufficiale di crittografia quantistica: un passaggio d’informazioni lungo la fibra ottica attorno a Firenze, un punto centrale della dorsale da 1.800 chilometri che collega Torino a Matera. L’obiettivo è dare vita a quella che viene definita, in termini tecnici, l’Italian Quantum Backbone, una rete che punta a rendere a prova d’intrusione lo scambio di dati su tutto il territorio nazionale. L’esperimento è perfettamente riuscito, dando così la spinta verso la costituzione della rete europea Euro QCI, che dovrebbe combinare una serie di satelliti alle tradizionali fibre ottiche commerciali, utilizzate ogni giorno da privati e aziende per le loro telecomunicazioni.
La gestione di queste chiavi di crittografia iper-sicure non è comunque dietro l’angolo, almeno su larga scala. Servono ancora numerosi test tecnici senza considerare i rischi potenziali, come l’annoso dilemma legato al rapporto tra sicurezza (soprattutto dei dati bancari e sanitari) e diritto alla privacy, già sollevati da più parti.

C’è bisogno di esperti – Quello che già oggi possiamo dare per assodato è il grande interesse che il settore della sicurezza, soprattutto cibernetica, sta concentrando attorno a sé. Un aspetto importante dal punto di vista delle possibilità occupazionali, dove anche qui l’Italia è capofila, con un aumento del 400% di aziende specializzate nel coprire i rischi connessi a privacy e sicurezza informatica. Secondo l’elaborazione stilata da Unioncamere e InfoCamere, partendo dai dati del Registro delle imprese delle Camere di Commercio d’Italia, tra dicembre 2017 e marzo 2019 le aziende italiane del settore sono passate da 700 a quasi 2.900.
Una crescita che si è anche tradotta in un aumento degli occupati che sono schizzati da poco più di 5.500 a un totale che supera i 23.000. In media, ogni azienda italiana di cyber security muove, in valore di produzione, 2 milioni e 400mila euro. Il dato complessivo parla di un giro d’affari ormai prossimo a quota 2 miliardi di euro.
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