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Riot… altro che The Truman Show

I social network sono stati sempre messi sotto accusa fin dall’inizio in merito alla questione della privacy. A partire dal più noto Facebook a finire a tutte le altre piattaforme minori, le reti sociali rappresentano un’enorme opportunità ma al tempo stesso uno strumento molto pericoloso nel caso lo si usi in maniera impropria. Nella maggior parte dei casi ad essere messe sotto accusa sono le regole e le formule grazie alle quali condividiamo immagini, video o testi in rete, con il rischio che informazioni riservate possano essere divulgate senza la nostra volontà ma quasi sempre si tratta di un cattivo utilizzo da parte degli utenti piuttosto che una finalità criminosa e voyeuristica dei gestori del servizio.

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Una buona gestione delle impostazione della privacy in genere dovrebbe tutelarci da “fughe di dati” indesiderate eppure ci sono alcuni aspetti meno noti che spesso non vengono considerati e che invece possono rappresentare un vero e proprio rischio. Dagli Stati Uniti infatti arriva Riot, un software in grado di tracciare gli utenti grazie al loro utilizzo delle piattaforme sociali. Ma come funziona? Semplice, spesso nel condividere un’immagine scattata dal telefonino siamo attenti a configurare la privacy per assicurarci che sia visibile solo da chi vogliamo noi eppure dimentichiamo che all’interno della foto sono contenuti i metadati, ovvero delle informazioni relative allo scatto tra cui la posizione geografica, il luogo dove la foto è stata realizzata.

A questo si aggiunge la geolocalizzazione che avviene ad esempio su Facebook quando postiamo un contenuto, a meno di non aver disattivato manualmente la funzione. Di default infatti le piattaforme puntano ad ottenere quante più informazioni possibili sugli utenti, compresa la loro posizione, per poter fornire pubblicità mirate oppure per i servizi che ci consentono di esplorare lo spazio intorno a noi (ad esempio se cerchiamo un negozio in prossimità della zona in cui ci troviamo, oppure se cerchiamo amici nelle vicinanze).

Immaginate ora un programma in grado di elaborare queste informazioni e tracciare quindi la posizione degli utenti in tempo reale e otterrete Riot, non per niente realizzato dalla Raytheon, azienda partner dell’esercito americano e specializzata appunto nella raccolta di informazioni. Grazie alle piattaforme di comune utilizzo come Facebook, Twitter, Instagram o Foursquare il programma è in grado in pochi semplici click di trovare e mappare i movimenti degli utenti, con buona pace delle impostazioni della privacy.

Anche se Riot al momento non è stato destinato alla commercializzazione non ha mancato di suscitare feroci polemiche sulle implicazioni relative alla riservatezza dei dati personali degli utenti, una vera e propria chimera nonostante le rassicurazioni da parte delle diverse piattaforme. Per quanto possa apparire una forzatura ed una vera e propria violenza nei confronti degli internauti, è ormai una verità assoluta l’idea che l’utilizzo della rete e dei social network ci collochi alla mercè di tutti coloro che hanno accesso a questo tipo di informazioni, a partire dalle piattaforme stesse, passando per marketers e pubblicitari e finendo per chi opera in nome della “sicurezza”. Una buona gestione delle impostazioni della privacy sembra quindi tutelarci fino a un certo punto, oltre al quale la nostra esistenza ci ricorda amaramente quella del celebre Truman Burbank.

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Cybersecurity Specialist

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